Il bike sharing a flusso libero, nato in Cina ed arrivato da poco in Europa ed in Italia incentiva furti e atti vandalici sui veicoli a due ruote.

Biciclette vandalizzate, abbandonate in giro, gettate nei corsi d’acqua disponibili…“. Sono le conseguenze del bike sharing a flusso libero, una pratica nata in Cina e arrivata da poco in Italia e in Europa: a differenza dei tradizionali sistemi di bike sharing che prevedono un rapporto bici/abitanti di 1:1000, i sistemi a flusso libero (come ammesso pubblicamente dagli stessi operatori alla tavola rotonda che abbiamo organizzato a Pavia lo scorso 15 settembre) ricercano un rapporto bici/abitanti di 1:10. Una logica del “chi prima arriva, meglio alloggia” denuncia il New York Times in un suo articolo ripreso da Bike Italia.

Le conseguenze di questa pratica? Vandalismo, furti e scorrettezze, che contribuiscono ad un sistema che non ricerca l’integrazione con gli altri sistemi di trasporto esistenti e neppure standard minimi di qualità, ma il semplice criterio quantitativo della disponibilità: ovunque tu sia, ci deve essere una bicicletta disponibile e pronta all’uso.

Un’altra pratica scorretta legata al bike sharing a flusso libero è quella della privatizzazione dei veicoli a due ruote – nata a Manchester e diffusasi poi anche a Firenze a Milano – che consiste nell’applicare lucchetti alle bici o a nasconderle in cantina. Un problema che ha superato i confini del Vecchio Continente, riporta il quotidiano newyorkese, per approdare aldilà del Pacifico, nella civilissima Australia. Un problema non solo italiano o europeo, ma globale.

Le soluzioni? La scelta più radicale è stata presa dal comune di Amsterdam che ha scelto di vietare il bike sharing a flusso libero in città. Altre soluzioni adottate riguardano invece una limitazione del concetto di “flusso libero” attraverso la creazione di stazioni virtuali, ovvero dei punti prestabiliti di prelievo e riconsegna delle biciclette senza ricorrere però a infrastrutture fisse dislocate sul marciapiede o sulla sede stradale. La logica della stazione virtuale è molto semplice: poiché ciascuna bici è dotata di un dispositivo GPS, la stazione virtuale riconosce la presenza della bicicletta nell’arco di un determinato perimetro consentendo quindi la chiusura del noleggio solamente nelle aree consentite, ovvero lontano da flussi d’acqua, lontano da passaggi angusti, cortili privati, etc.
Questa soluzione è stata adottata con successo in molte città tedesche o austriache come Colonia, Berlino o Wachau.

L’articolo di Bike Italia