Come e perché Uber deve“ripulirsi”? Ne parlano il rapporto di Transport & Environment e la campagna #TrueCostOfUber.

Auto inquinanti, città congestionate e scarse tutele per gli autisti: non sempre car sharing è sinonimo di efficienza, e la gestione della compagnia Uber lo dimostra. Lo sostiene l’ultimo report di Transport&Environment (T&E), che ha analizzato i dati compilati da Euromonitor, e relativi in particolare alle città di Londra e Parigi.

Il rapporto “Europe’s giant ‘taxi’ company: is Uber part of the problem or the solution?” mostra che il valore delle corse complessivo è stato pari a 50 miliardi di dollari nel 2018, stanno crescendo rapidamente, e nei prossimi anni la società punta ad espandersi in particolare in Spagna, Italia e Germania.
In Francia, il numero di conducenti di veicoli commerciali segnalati è raddoppiato in tre anni (da oltre 15.000 nel 2016 a 30.000 nel 2019), mentre la stessa cosa è successa nella sola città di Londra in due anni (da 25.000 nel 2016 a 45.000 nel 2018), e proprio nella capitale britannica Uber rappresenta circa la metà del numero totale di licenze di veicoli commerciali a noleggio.

Non ci sono buone notizie nemmeno per i nostri polmoni e per l’ambiente: secondo T&E, i veicoli che operano attraverso l’applicazione Uber a Londra, Parigi e Bruxelles causano emissioni per circa 525mila tonnellate di CO2 all’anno, più o meno equivalenti a quelle di 250mila veicoli privati. Un problema gigantesco se si tiene conto della necessità di intraprendere azioni di riduzione delle emissioni e di adozione di target climatici e ambientali ancora più ambiziosi da parte delle metropoli europee.

Per queste ragioni una coalizione di organizzazioni ambientaliste (Sierra Club, Nabu, Respire, MilieuDefensie, Bond Beter Leefmilieu, Les Chercheurs d’Air e Transport&Environment) ha lanciato la campagna #TrueCostOfUber. Obiettivo principale della campagna è quello di imporre ad Uber una flotta al 100% pulita entro il 2025 nelle grandi città. Nonostante il servizio Uber Green, ad oggi attivo ma ancora poco usato dagli utenti, a causa dei pochi veicoli disponibili.

Secondo Olivier Blond, presidente di Respire (Ong francese), “il diesel uccide, e Uber non dovrebbe essere parte del problema dell’inquinamento dell’aria. L’impresa dovrebbe smettere di usare queste auto ‘sporche’, che in particolare nelle aree densamente popolate come Parigi, sono molto inefficienti”.

Secondo Greg Archer, direttore di Transport&Environment, il modello da seguire è quello della capitale britannica dove Uber si è impegnata ad avere una flotta completamente sostenibile entro il 2025, forzata dalle regole per la qualità dell’aria introdotte dal sindaco di Londra e dalla Low Emission Zone recentemente introdotta. “Questa significa che ciò è fattibile, anche da un punto di vista finanziario – sostiene Archer – Se non lo fosse, l’azienda sarebbe giù uscita dal mercato. Ma la questione che poniamo ad Uber è: e perché non fare lo stesso a Bristol, Birmingham, Manchester e Leeds? Sono città di seconda classe?”.