La manovra finanziaria arrivata in Parlamento ha disatteso gli annunci degli scorsi mesi.Il disegno di legge è carente sull’elettrico.

Il “Contratto per il Governo del Cambiamento” sembrava aprire uno spiraglio di speranza. Il programma sui trasporti suonava ambizioso: “avviare un percorso finalizzato alla progressiva riduzione dell’utilizzo di autoveicoli con motori alimentati a diesel e benzina, al fine di ridurre il numero di veicoli inquinanti […]”. Le successive dichiarazioni del Ministro Di Maio sul “milione di auto elettriche entro il 2022”, riprese da Bloomberg, autorizzavano fiducia nel cambiamento dichiarato e legittimavano la speranza nello sviluppo capillare di una rete di infrastrutture per la ricarica. La recente presentazione della Finanziaria, invece, ha sorpreso per la mancanza di qualunque riferimento alla mobilità elettrica. Questo mentre – nei giorni immediatamente successivi l’arrivo in Parlamento del documento – altri importanti esponenti del Governo come il Ministro dell’Ambiente Costa e il Sottosegretario Dell’Orco hanno nuovamente parlato in maniera esplicita di “risorse economiche e incentivi per il cambio dell’auto” e di sostenere un “percorso di incentivazione bonus malus offrendo la possibilità di far pagare meno a chi inquina meno”.

Ora la legge Finanziaria è in discussione e gli emendamenti che dovrebbero, come nelle intenzioni del Governo, fungere da “volano” all’ecosistema della nuova mobilità, cadono ad uno ad uno. Molto rumore per nulla, insomma. Siamo ancora fermi e le proposte che in questi giorni si stanno affacciando sul tema sono le più disparate e difettano in concretezza.

Perché è necessario intervenire

Anche UNRAE, l’organismo che riunisce i rappresentanti di autoveicoli esteri, ha parlato del rinnovo del parco auto italiano come vera e propria “esigenza sociale”, parco auto che conta oltre 37 milioni di veicoli ed è costituito – è bene ricordarlo – da una fortissima componente, pari a circa il 40% del totale, ancora da mezzi appartenenti a classi uguali o inferiori all’Euro 3. Ciò mentre l’Europa si appresta a far entrare in vigore gli obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni inquinanti previsti dal Regolamento “Emission Performance Regulation for Cars and Vans” e alcune nazioni europee prendono delle 2 decisioni molto coraggiose che vanno esattamente in questa direzione. Occorre accelerare la transizione e un piccolo “boost” iniziale aiuterebbe a superare l’attuale ritardo dell’Italia in questo campo.

Mancano i soldi? Non è vero

Nel 2016 il Ministero dell’Ambiente ha stilato un “Catalogo” dei sussidi ambientalmente favorevoli e di quelli dannosi, lo si può consultare liberamente sul sito del Ministero. Il Catalogo, in particolare, individua 57 forme di sussidio dannoso per l’ambiente che costano allo Stato ogni anno 16,2 miliardi di euro. MOTUS-E ha mappato il lungo elenco contenuto in questo documento: si va dagli sgravi sulle accise di molti combustibili, ai differenziali di tassazione tra benzina e gasolio, fino alle acque minerali, che ovviamente nella stragrande maggioranza dei casi finiscono in una bottiglia di plastica. È evidente che basterebbe utilizzare anche solo una parte di queste risorse per stimolare – almeno nella fase iniziale – forme di trasporto ambientalmente sostenibile e in questo modo contribuire a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Ricordiamo che siamo buoni ultimi in Europa nello sviluppo della mobilità sostenibile, nonostante la produzione di energia elettrica più pulita della media europea (grazie alle rinnovabili). La grande disparità di numeri tra i mezzi inquinanti e l’attuale mercato di veicoli elettrici fa sì che basterebbero piccolissimi malus o riduzione degli incentivi per chi inquina per generare notevoli bonus di supporto allo sviluppo di mezzi ad impatto zero. Sono sul tavolo anche proposte di riduzione fiscale (eco-bonus) per gli investimenti in infrastrutture (pubbliche, private, condomini) o acquisto di mezzi elettrici, magari eliminando quelli relativi a sistemi oggettivamente dannosi (si pensi, ad esempio, alle stufe a pellet che tuttora godono del 65% di sgravi fiscali). La possibilità di cessione degli eco-bonus innescherebbe inoltre un circuito virtuoso di mercato, con effetti benefici anche sul gettito IVA dei nuovi investimenti o acquisti di mezzi elettrici Basterebbe dunque un po’ di coraggio in più, per passare dalle dichiarazioni ai fatti e far partire un capitolo nuovo della politica industriale del nostro Paese. Il tempo è – come sempre – tiranno, ma non perdiamo la speranza.

Maggiori informazioni: www.motus-e.org

Leggi il comunicato stampa (pdf)