Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha rilanciato il Ponte sullo Stretto di Messina. Il parere di Anna Donati.

Benché per ben due volte, nel 2010 e nel 2012, avesse dichiarato l’inutilità del progetto e la necessità di investire sull’adeguamento e messa in sicurezza delle scuole: il Ponte sullo Stretto di Messina, a parere di Renzi, darebbe lavoro a 100.000 persone. Eppure la priorità dovrebbe essere data proprio alla messa in sicurezza del territorio, alla riqualificazione degli edifici e delle periferie, all’adeguamento antisismico degli edifici pubblici e privati.

Il 24 di agosto 2016 un altro grave terremoto ha scosso il Centro Italia, facendo 295 vittime e oltre 500 feriti. I paesi di Amatrice, Accumuli e Pescara del Tronto – paesi compresi nelle zone 1 e 2 di massimo rischio sismico – sono crollati e ora oltre 5000 persone sono sfollate.

È noto che l’Italia è un paese sismico, che in media ogni cinque anni c’è un grave terremoto, che dal dopoguerra a oggi è stato stimato che per sette gravi terremoti sono stati spesi oltre 121 miliardi per l’emergenza e la ricostruzione. Ben 21 milioni di persone vivono in zone classificate a rischio sismico molto o abbastanza elevato (1 e 2), di cui 3 milioni nella sola zona 1 di massima esposizione. Altri 19 milioni di persone risiedono nei comuni localizzati in zona 3.

Se poi guardiamo anche ad altre calamità come frane e alluvioni a causa del dissesto idrogeologico del paese – ci dicono i dati Ance/Cresme – dal 1944 al 2012 arriviamo a un totale di 242 miliardi di euro destinati all’emergenza. Il risultato è che abbiamo speso tante risorse pubbliche e restiamo un paese ad alto rischio.

Il dibattito post terremoto sulla ricostruzione e sulla necessità di prevenzione ha trovato tutti d’accordo: niente new town modello “L’Aquila” di berlusconiana memoria ma recupero dei luoghi e degli insediamenti; e poi la prevenzione come obiettivo primario delle scelte politiche. Praticamente dopo ogni terremoto c’è un coro diffuso che parla della necessità di prevenire ma poi piano piano tutto ritorna nella inerzia ordinaria, come già adesso sta accadendo in Italia.

I limiti della normativa antisismica

È accaduto così anche dopo il terremoto dell’Aquila, quando le nuove Norme Tecniche antisismiche di Costruzione entrarono in funzione poco dopo a luglio 2009, dopo un lungo iter di gestazione nato nel lontano 1996.

La stessa norma del 2009 prevede una revisione biennale che però non è mai avvenuta. Secondo il Ministero dei Trasporti questa prima revisione arriverà entro fine anno.

Per le norme attuali quindi l’adeguamento antisismico è obbligatorio – ai sensi di una circolare del 2004 – per luoghi pubblici strategici come scuole, comuni, ospedali, prefetture, beni culturali, musei. Lo è anche per nuovi edifici e quando vi è una ristrutturazione rilevante degli edifici esistenti. Non è obbligatorio invece per gli edifici esistenti.

Si tenga conto che in Italia ci sono circa 30 milioni di abitazioni di cui circa il 50% è stato costruito prima del 1974, in completa assenza di una normativa antisismica. Sono gli edifici più vetusti a essere in pessimo stato di conservazione, ma senza sottovalutare edifici più recenti ma abusivi, costruiti in zone ad alto rischio e di pessima qualità.

Purtroppo il terremoto del 24 agosto ha dimostrato che sono crollate sia le case nel centro storico e sia che gli edifici strategici come scuole e ospedali che invece avrebbero dovuto reggere al sisma, dove evidentemente le norme non sono state applicate.

Selezionare gli interventi dove maggiormente si concentra il rischio è un dovere perché le risorse pubbliche e private sono scarse, scarsissime. Uno dei gravi limiti della situazione attuale è proprio la scarsa conoscenza dello stato esatto della sicurezza delle abitazioni, della staticità, dei materiali, dei suoli, degli effetti degli aggregati edilizi tipici dei centri storici. L’Ordine degli Ingegneri e in generale tutte le professionalità tecniche propongono che il fascicolo di fabbricato diventi obbligatorio, in modo da selezionare gli interventi (e gli incentivi) con criterio.

Il Governo sembra essere d’accordo con questa impostazione ed ha allo studio uno schema che ricorda quello per la certificazione energetica. Stabilità, ma vedremo poi di tutti questi impegni che cosa si concretizza davvero e in quali tempi.

I numeri sui costi degli interventi di messa in sicurezza e adeguamento antisismico

È fuori discussione che l’adeguamento antisismico degli edifici pubblici e privati ha dei costi rilevanti d’intervento. Dal 2009 sono stati spesi 965 milioni per l’adeguamento antisismico di edifici nelle zone a rischio. Ma secondo la Protezione Civile questa è una piccola goccia nell’oceano: per tutta l’edilizia privata servirebbero 300 miliardi di euro e altri 50 miliardi per la sicurezza degli edifici pubblici come scuole e ospedali.

Secondo l’Ordine degli ingegneri intervenire nelle zone più a rischio 1 e 2, significa adeguare 12 milioni di immobili dove vivono 23 milioni di persone (lungo gli appennini e in regioni come Sicilia, Calabria e Basilicata): una stima dei costi porta a dover investire 94 miliardi di euro.

Secondo l’architetto ed ex-deputato verde Sauro Turroni, mettere in sicurezza molti edifici storici con tiranti, catene e fasciature andrebbe fatto subito: per questo ha scritto una lettera al presidente del Consiglio con questa proposta. Servirebbero subito 4,5 miliardi per questi interventi leggeri per evitare crolli futuri, mentre si predispongono piani di adeguamento necessariamente di lungo periodo.

Altra stima è stata effettuata a caldo il 25 agosto da Mauro Grassi, Coordinatore degli interventi antidissesto idrogeologico alla Presidenza del Consiglio. A suo giudizio servono 4 miliardi annui per 20 anni: due per l’antisismica e due per il dissesto idrogeologico: 80 miliardi per la prevenzione e la cura del territorio.

I rischi del piano Casa Italia del Governo

Da questa esigenza di integrare i diversi provvedimenti di prevenzione sismica, di efficienza energetica, di riqualificazione urbana e delle periferie, di manutenzione dei beni storici, di salvaguardia del territorio è nata l’idea del Governo di “Casa Italia”. Un piano del costo stimato di 2 miliardi per 20 anni su cui è stato avviato il confronto con ordini, esperti, sindacati e parti sociali, associazioni ambientaliste. Un piano che dovrebbe individuare le risorse per l’adeguamento degli edifici pubblici e indicare il sistema di incentivi stabile – ecobonus e sismabonus – per sostenere la spesa per i privati per l’adeguamento degli edifici.

Già oggi è possibile con una norma della Legge Stabilità 2016 – voluta dal Presidente della Commissione Ambiente della Camera Ermete Realacci – una detrazione Irpef – Ires del 65% delle spese sostenute, sino a un ammontare massimo di 96mila euro, per interventi di messa in sicurezza statica. La detrazione è applicabile alle spese sostenute fino al 31 dicembre 2016 e vale per le abitazioni principali e gli impianti produttivi situati nelle zone 1 e 2 ad alto rischio sismico.

Ma quello che serve è il potenziamento e la stabilizzazione di queste detrazioni, da applicare a condomini e aggregati edilizi e non solo a unità abitative, perchè la sicurezza spesso si può fare solo a questa scala, e che coinvolga anche le seconde case.

Ma noi sappiamo che una delle componenti fondamentali della ricostruzione deve essere la partecipazione dei cittadini alle scelte che riguardano il loro territorio e il loro futuro, cosi come la vigilanza costante e la trasparenza è un antidoto a speculazioni e affarismi che si annidano sempre dove arrivano risorse pubbliche, come hanno dimostrato molte inchieste della magistratura.
Allo stesso modo formazione dei tecnici, ricerca e nuove tecnologie innovative e informazioni puntuali ai cittadini, sono essenziali per fare della prevenzione del rischio un’azione costante di ogni giorno.

Il confronto è in corso, le parole spese importanti, adesso si stanno scrivendo Decreti Leggi e Piani d’Intervento: resta da vedere se questa volta avremo davvero imparato qualcosa dagli errori del passato. Certo l’uscita del Presidente del Consiglio per il rilancio del Ponte sullo Stretto è un pessimo segnale sulle priorità che servono per il nostro Paese.

Articolo a cura di Anna Donati, Kyoto Club.

(Photo credit: Il corriere della sera)